LE SINDROMI CORONARICHE ACUTE

 

La sindrome coronarica acuta (SCA) non è altro che la nuova classificazione delle varie forme di ischemia coronarica acuta.
Il primus movens è rappresentato dalla presenza di un?ostruzione di una coronaria da una placca aterosclerotica, in genere molto ricca di colesterolo, che in seguito a stimoli diversi, uno stress o un rialzo pressorio, diventa instabile, e compromette l?apporto di sangue e quindi di ossigeno al muscolo cardiaco. In realtà questa non è che la manifestazione cardiaca di una malattia sistemica: l?aterosclerosi, che ancora oggi rimane la principale causa di morte in tutto il mondo. I sintomi di una sindrome coronarica acuta sono:

 

  • Dolore toracico, in genere in regione retrosternale, di tipo oppressivo di durata variabile da qualche minuto a più di mezz?ora, che insorge a riposo o per sforzi sempre più lievi; può rimanere localizzato al petto o irradiarsi al braccio sinistro ed alla gola.
  • Affanno, la cosiddetta fame d?aria, la quale può essere l?unico sintomo soprattutto nei soggetti diabetici, che in genere non hanno la sensazione di dolore al petto.
  • Sudorazione fredda (algida).

 

Alcune volte si possono avere dei sintomi (gastrointestinali), quali pesantezza di stomaco, nausea e vomito, che quindi non vanno sottovalutati. 
La probabilità di sviluppare una sindrome coronarica acuta aumenta se ci sono fattori di rischio predisponenti: fumo, ipertensione arteriosa sistemica, diabete, dislipidemia e familiarità per malattie cardiovascolari. 
In presenza di un sospetto di sindrome coronarica acuta, la prima cosa da fare è un ECG. Secondo le Linee Guida ACC/AHA un ECG andrebbe effettuato entro 10 minuti dalla presentazione di un episodio di dolore toracico. Tuttavia l?elettrocardiogramma può risultare normale in circa il 10% di pazienti con SCA. A seconda della severità dei sintomi l?ECG potrà dimostrare un sottoslivellamento del tratto ST o un sovraslivellamento del tratto ST, fisso o transitorio, e/o un’inversione dell’onda T in una percentuale compresa tra il 30% ed il 50% dei pazienti con SCA. La presenza di un sovraslivellamento del tratto ST è indicativa di Infarto Miocardico, ed in genere si associa ad un rialzo degli enzimi cardiaci nel 90% dei pazienti. 
Il passo successivo per l’inquadramento diagnostico è rappresentato dal dosaggio degli enzimi cardiaci. Non esiste un marcatore cardiaco ideale, ma una combinazione di biomarcatori può essere utile per la diagnosi di SCA. Si tratta di molecole che rilasciate nel sangue dalle cellule cardiache in seguito alla loro morte, e quindi la loro presenza in circolo conferma la diagnosi di infarto. Nei casi in cui il dosaggio di tale molecole è negativo si parla di angina. I più importanti sono: CPK-MB e la Troponina T ed I. Di recente interesse un’altra molecola: il BNP. Se misurati entro 6 o 12 ore dall’insorgenza dei sintomi, tuttavia un solo valore negativo non esclude la diagnosi di SCA. La prima titolazione di questi marcatori può essere negativa nel 10%-15% di pazienti in cui verrà successivamente diagnostica una SCA. 
Diagnosticare una sindrome coronarica acuta in maniera precoce è molto importante perché la tempestività di una terapia appropriata è fondamentale al fine di limitare l’estensione del danno cardiaco, inteso come morte cellulare, per questo si dice “il tempo è muscolo”. 
La somministrazione rapida per via endovenosa di farmaci in grado di inibire l’aggregazione piastrinica rappresenta la tappa fondamentale per ridurre l’estensione del danno cardiaco; ancora più importante è la possibilità di ripristinare meccanicamente il flusso sanguigno nell’arteria responsabile dell’ischemia, mediante procedure invasive di rivascolarizzazione coronarica con angioplastica, spesso seguita all’applicazione di stent. Questo approccio è fondamentale nel trattamento dei pazienti con sovraslivellamento del tratto ST all’ECG e in quelli che, pur non presentando un sovraslivellamento del tratto ST, sono pazienti a rischio medio-alto ed quando la terapia farmacologica non riesce a stabilizzare in maniera precoce il quadro clinico.

 

Autore 
  Dott.ssa Francesca Sbandi – Specialista in cardiologia 
  Casa di Cura Mater Dei – Roma (Italy)

LE SINDROMI CORONARICHE ACUTE

 

La sindrome coronarica acuta (SCA) non è altro che la nuova classificazione delle varie forme di ischemia coronarica acuta.
Il primus movens è rappresentato dalla presenza di un?ostruzione di una coronaria da una placca aterosclerotica, in genere molto ricca di colesterolo, che in seguito a stimoli diversi, uno stress o un rialzo pressorio, diventa instabile, e compromette l?apporto di sangue e quindi di ossigeno al muscolo cardiaco. In realtà questa non è che la manifestazione cardiaca di una malattia sistemica: l?aterosclerosi, che ancora oggi rimane la principale causa di morte in tutto il mondo. I sintomi di una sindrome coronarica acuta sono:

 

  • Dolore toracico, in genere in regione retrosternale, di tipo oppressivo di durata variabile da qualche minuto a più di mezz?ora, che insorge a riposo o per sforzi sempre più lievi; può rimanere localizzato al petto o irradiarsi al braccio sinistro ed alla gola.
  • Affanno, la cosiddetta fame d?aria, la quale può essere l?unico sintomo soprattutto nei soggetti diabetici, che in genere non hanno la sensazione di dolore al petto.
  • Sudorazione fredda (algida).

 

Alcune volte si possono avere dei sintomi (gastrointestinali), quali pesantezza di stomaco, nausea e vomito, che quindi non vanno sottovalutati. 
La probabilità di sviluppare una sindrome coronarica acuta aumenta se ci sono fattori di rischio predisponenti: fumo, ipertensione arteriosa sistemica, diabete, dislipidemia e familiarità per malattie cardiovascolari. 
In presenza di un sospetto di sindrome coronarica acuta, la prima cosa da fare è un ECG. Secondo le Linee Guida ACC/AHA un ECG andrebbe effettuato entro 10 minuti dalla presentazione di un episodio di dolore toracico. Tuttavia l?elettrocardiogramma può risultare normale in circa il 10% di pazienti con SCA. A seconda della severità dei sintomi l?ECG potrà dimostrare un sottoslivellamento del tratto ST o un sovraslivellamento del tratto ST, fisso o transitorio, e/o un’inversione dell’onda T in una percentuale compresa tra il 30% ed il 50% dei pazienti con SCA. La presenza di un sovraslivellamento del tratto ST è indicativa di Infarto Miocardico, ed in genere si associa ad un rialzo degli enzimi cardiaci nel 90% dei pazienti. 
Il passo successivo per l’inquadramento diagnostico è rappresentato dal dosaggio degli enzimi cardiaci. Non esiste un marcatore cardiaco ideale, ma una combinazione di biomarcatori può essere utile per la diagnosi di SCA. Si tratta di molecole che rilasciate nel sangue dalle cellule cardiache in seguito alla loro morte, e quindi la loro presenza in circolo conferma la diagnosi di infarto. Nei casi in cui il dosaggio di tale molecole è negativo si parla di angina. I più importanti sono: CPK-MB e la Troponina T ed I. Di recente interesse un’altra molecola: il BNP. Se misurati entro 6 o 12 ore dall’insorgenza dei sintomi, tuttavia un solo valore negativo non esclude la diagnosi di SCA. La prima titolazione di questi marcatori può essere negativa nel 10%-15% di pazienti in cui verrà successivamente diagnostica una SCA. 
Diagnosticare una sindrome coronarica acuta in maniera precoce è molto importante perché la tempestività di una terapia appropriata è fondamentale al fine di limitare l’estensione del danno cardiaco, inteso come morte cellulare, per questo si dice “il tempo è muscolo”. 
La somministrazione rapida per via endovenosa di farmaci in grado di inibire l’aggregazione piastrinica rappresenta la tappa fondamentale per ridurre l’estensione del danno cardiaco; ancora più importante è la possibilità di ripristinare meccanicamente il flusso sanguigno nell’arteria responsabile dell’ischemia, mediante procedure invasive di rivascolarizzazione coronarica con angioplastica, spesso seguita all’applicazione di stent. Questo approccio è fondamentale nel trattamento dei pazienti con sovraslivellamento del tratto ST all’ECG e in quelli che, pur non presentando un sovraslivellamento del tratto ST, sono pazienti a rischio medio-alto ed quando la terapia farmacologica non riesce a stabilizzare in maniera precoce il quadro clinico.

 

Autore 
  Dott.ssa Francesca Sbandi – Specialista in cardiologia 
  Casa di Cura Mater Dei – Roma (Italy)